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Quando ancora giocava, disse che i più forti della storia erano stati Pelé e Maradona. Oggi la pensa così o si è inserito qualcun altro?
«Ogni decennio ha giocatori che lasciano il segno. E poi ci sono quelli che hanno fatto la storia in assoluto».
Loro due sono insidiabili?
«La differenza è che nei loro anni non c’erano le regole di oggi. Oggi gli attaccanti sono molto più protetti. Una volta era una caccia all’uomo».
Oggi Baggio prenderebbe molte meno botte?
«Credo proprio che sarei riuscito a giocare qualche anno più. E non solo io. Ai miei tempi, prima aspettavi la scarpata e solo dopo pensavi a come stoppare il pallone. Oggi, a volte si rischia l’espulsione al primo fallo. Una volta non succedeva. Prendevi la botta e non sapevi nemmeno chi te l’aveva tirata. All’arbitro chiedevi il numero di targa del camion…».

Lei ha iniziato a giocare in un certo tipo di calcio. Poi si è trovato nel bel mezzo di una rivoluzione, quella di Sacchi. Ed è cambiato tutto, non solo nel modo di giocare ma anche in quello di allenarsi.
«Non è stato facile. Venivamo da un calcio in cui ognuno doveva inventare. Non avevi la cultura calcistica di oggi. Quello che sapevi lo sapevi dalla strada e non te l’aveva insegnato nessuno».
Sentiva in qualche modo il suo talento ingabbiato?
«Più che altro si fece strada l’anti-calcio. E quelli del mio ruolo facevano fatica a giocare. Zola dovette andare in Inghilterra per trovare posto…».
Non solo lui. Erano gli anni del dogma del 4-4-2, quando Ancelotti non la volle al Parma perché non sapeva dove metterla…
«La cosa importante è che si è pentito pubblicamente…».
E adesso, con i moduli più flessibili, dove giocherebbe Roberto Baggio? Dietro la punta principale in un 4-2-3-1? Dietro le punte in un 4-3-1-2? O farebbe la seconda punta?
«Seconda punta in un 4-3-1-2, sicuro. Di fianco a un centravanti vero».
Siamo sempre lì, a Platini che la definì un 9,5…
«Definizione perfetta. Era la realtà».
Come si sarebbe trovato un 9,5 nel Barcellona del suo amico Pep Guardiola, la squadra che spezzò il dominio dell’anti-calcio muscolare?
«Chi non si sarebbe trovato bene?».
Per esempio chi i piedi buoni non li aveva.
«È vero, ma era proprio il loro modo di essere. Avevano dietro le spalle il lavoro della cantera. Non è una cosa che si improvvisa in un giorno. Poi se hai anche giocatori bravi…».
Quando giocavate insieme, nel Brescia di Mazzone, avrebbe detto che il Pep sarebbe diventato il più bravo allenatore della sua epoca e uno dei migliori di tutti i tempi?
«Beh, innanzitutto i centrocampisti sono i calciatori che conoscono meglio le due fasi di gioco, quella offensiva e quella difensiva. Quindi sono i più portati a fare gli allenatori. Chi gioca in mezzo ha più conoscenze».
E poi?
«E poi Pep era già un tattico quando giocava. E veniva da una scuola di grandi allenatori, la sua intelligenza ne ha beneficiato».
A proposito di campioni: chi è il difensore più difficile contro cui ha giocato?
«Paolo Maldini. Quando te lo trovavi davanti sapevi che non passavi. Era grosso. Ed era forte di testa, di destro, di sinistro… Dovevi mettere insieme 15 giocatori per fare uno come lui».
E il giocatore con cui scambiava più volentieri la maglia?
«Marco van Basten. E mi sarebbe anche piaciuto giocarci insieme».
Ha visto l’addio al calcio di Totti?
«No, ero via».
Ma avrà saputo del suo tormento. Per lei fu diverso. Lei disse: «Finalmente».
«Sì, per me fu una liberazione purtroppo. Purtroppo perché, senza tutti quei problemi, non avrei smesso».
Di lei hanno detto che è stato l’ultimo grande giocatore italiano, nel senso che ha unito un Paese. Quello che ovunque andava, l’applaudivano. O non la fischiavano. Perché, secondo lei?
«Mi fa piacere. Credo perché, consapevolmente o meno, ho sempre cercato di far divertire la gente. Che forse ha sentito questo».
E che cos’era, a divertire la gente?
«Il mio modo semplice di giocare».
Semplice per lei, forse.
«Allora anche la semplicità del modo di essere. Di comportarmi. Non mi sono mai sentito diverso da tutti quelli che mi venivano a vedere: forse quella è stata la mia forza».
Oltre alla purezza del gesto tecnico, magari?
«Sì, qualche volta forse sì».
Si è mai interrogato su cosa vuol dire nascere con un talento così?
«Sì, ma penso anche che il talento abbia bisogno di determinazione, coraggio e sacrificio. Il mio è stato frutto dei milioni di ore di calcio giocato per strada. Dove impari di tutto».
Ma può non bastare. Nella sua autobiografia lei racconta di avere sognato spesso il rigore di Pasadena, finale Mondiale 1994 contro il Brasile. E in sogno la palla entrava. Le capita ancora?
«Mi capita di ripensarci».
E aggiungeva che prima o poi avrebbe trovato il senso di quell’errore, come lei ricorda «l’unico rigore della mia vita che abbia tirato alto, gli altri che ho sbagliato me li hanno parati i portieri». Sono passati 23 anni: l’ha trovato, quel senso?
«No, non ancora».
Ma ripensarci fa meno male, a distanza?
«No, è lo stessa amarezza del 1994. Non è diminuita. Non passerà mai, penso».
Eppure adesso è qui, con la tuta, le scarpe e la maglia rievocativi di quel Mondiale...
«Sì, perché mi piacerebbe tornare indietro, a quegli anni. Recuperarli è piacevole, sono ricordi intimi, profondi e bellissimi. A parte il finale».

E perché, nonostante quel finale, resta un ricordo bello?
«Perché il percorso fu denso di significato: per la fatica, le difficoltà e per il carattere e le determinazione con cui ne siamo usciti. Rivivere quei momenti è bello. Non avrei mai pensato che un giorno la gente avrebbe voluto indossare quello che noi indossavamo allora. Vuol dire che forse ho lasciato qualcosa di bello e di profondo. Anche se...».
Anche se?
«Anche se è il Mondiale del 1990 quello in cui mi sentivo di poter fare qualsiasi cosa».


http://www.corriere.it/sport/17_luglio_ ... resh_ce-cp


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MessaggioInviato: gio 27 lug 2017, 10:04 
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Reg. il: ven 22 mag 2015
Alle ore: 20:02
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Baggio la sa lunga, non mi capacito di come Epico però possa apprezzare un'intervista in cui:
- si definisce ciò che piace a lui e a quasi tutto il forum anticalcio
- si esalta il calcio del Barcellona di Pep
- si esalta Pep allenatore - per me al di là dei suoi meriti fuori da Barcellona peraltro.

Cioè praticamente questa intervista sbriciola tutte le tue tesi, però è straordinaria. Boh.

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Il buon gusto è la morte dell'arte.


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MessaggioInviato: gio 27 lug 2017, 11:46 
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Reg. il: sab 21 gen 2017
Alle ore: 20:53
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Mi permetto di inserire anche la prima parte, più personale, di introduzione:

Roberto Baggio, adesso che è passato qualche mese dal suo compleanno numero 50, ce lo dica: era più preparato a smettere di giocare a calcio o a compiere 50 anni?

«Ero molto più preparato a smettere di giocare: non ce la facevo più per i dolori».

E coi 50 com’è andata?

«È un casino. Arrivano e non te ne accorgi».

Ha sempre detto di non avere conservato ritagli di giornale, al massimo lo faceva ogni tanto sua moglie Andreina. Ora è pentito?

«No. È che tutto è passato velocemente. Questi ultimi 15 anni sono volati. Da una parte sono felice, perché non ho rimpianti. Ho fatto tutto quello che volevo fare. Ma il tempo si è messo a correre velocissimo».

E perché, secondo lei? Com’è la giornata-tipo di Roberto Baggio?

«Difficilmente le mie giornate sono vuote. Quando giocavo, gli allenamenti erano condensati in due ore, poi la giornata era libera. Adesso sono più impegnato. C’è il progetto al quale sto lavorando. Ho meno tempo di pensare».

Quale progetto?

«Quando sarà tutto pronto, ve lo dirò».

Intanto, ha mica visto in giro un nuovo Roberto Baggio, o uno che possa in qualche modo essere considerato un suo erede?
«Chi possa essere il mio erede non lo so. Guardo molto calcio sudamericano e, da tifoso del Boca Juniors, mi piace molto Centurion. Ma deve migliorare fuori dal campo».

Nella sua autobiografia «Una porta nel cielo», scritta con Enrico Mattesini e pubblicata nel 2001, lei insiste spesso sulla sua tenacia e sulla sua tempra di combattente. Eppure, aggiunge, non sono quasi mai stato considerato un leader, forse perché «non mi aiuta la faccia». C’entra davvero la faccia, o è più che alla figura del combattente si associano calciatori in altri ruoli, che non sia quello del fantasista?

«Il calcio è bello perché c’è spazio per tutti. Quando giocavo io, c’erano calciatori che non sapevano stoppare il pallone neanche con le mani, eppure insultavano tutti e così passavano per gladiatori. Io invece penso che si debba guardare alla sostanza di una persona. Ed è nei momenti difficili che vedi qual è il bagaglio che ti porti dentro. Di certo non sono mai stato uno che ha rincorso un compagno, perché ho sempre pensato che se sbagliava, poteva succedere la stessa cosa a me».

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MessaggioInviato: gio 27 lug 2017, 12:38 
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Il moro di Venezia
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Reg. il: lun 19 giu 2006
Alle ore: 19:32
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Sono rimasto piacevolmente colpito della citazione di Paolino come difensore più ostico da incontrare. Onestamente mi sarei aspettato una citazione verso un difensore centrale.

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