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 Oggetto del messaggio: Maradona insegna Football Ad Usa 94.
MessaggioInviato: sab 5 feb 2011, 22:41 
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Sontuoso video su qualche giocata di Maradona ad usa 94 , dopo 2 partite era il miglior giocatore del torneo media voto della gazzetta alla mano.
gLIELO RUBARONO QUEL moNDIALE , LO AVREBBE VINTO CERTAMENTE.
Rammento dopo Argentina Nigeria la trasmissione di italia 1 sui Mondiali con un Maurizio Pistocchi estremamente eccitato per la prestazione di Maradona e che continuava a ripetere come un osesso agli ospiti << TUNNEL DI TACCO TUNNEL DI TACCO TUNNEL DI TACCO >> RIFERENDOSI AD UN TUNNEL DI TACCO CHE DIEO FECE A SUNDAY OLISEH..TUNNEL CHE SI VEDE ANCHE NEL VIDEO AD UN CERTO PUNTO.

http://www.youtube.com/watch?v=jobrxvaN ... re=related

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GULLIT:"Quando vedo Messi penso che è un grande calciatore ma è protetto: dagli arbitri, dalle telecamere, dal regolamento. Messi può limitarsi a dribblare. Diego doveva saltare alto così, non per fare dribbling ma perché volevano spezzargli le gambe".


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MessaggioInviato: sab 5 feb 2011, 22:50 
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gLIELO RUBARONO QUEL moNDIALE , LO AVREBBE VINTO CERTAMENTE.

Ma non eri tu a dire che "con i se e i ma non si fa la storia"?

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Anche questa volta ci rialzeremo, non più a testa alta, ma con il cuore.
Ma di spirito, voi, miserrimo furfante,
mai non ne aveste un´oncia, e di lettere tante
quante occorrono a far la parola: cretino!


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MessaggioInviato: sab 5 feb 2011, 22:57 
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andasti negli States col cuore leggero. Ci credevi. Quelli dicevano: “Diego, abbiamo fame di spettacolo”. E chi glielo poteva dare lo spettacolo se non le tue magìe, il tuo orgoglio, il tuo impegno? Generoso, come sempre.

L’Argentina si sistemò fuori Boston, la tua Argentina. C’erano più giornalisti per te che per tutto il Mondiale. Fu una buona sistemazione al “Babson College” in un posto bellissimo fuori città. Facevi sul serio e ti allenavi duramente. Perdesti dodici chili e scendesti a 76 chili. Ti facesti aiutare da Daniel Cerrini, che ti aveva rimesso in forma al Newell’s con una dieta appropriata, e ti aiutava il fisioterapista Echevarria. Potevi scendere a 72 chili, ma Fernando Signorini si oppose. “Se cali ancora di peso, appena ti toccano voli in aria” disse. Dall’Italia arrivò Salvatore Carmando, il massaggiatore napoletano che avevi voluto al Mondiale dell’86 e che ti era stato negato al Mondiale ’90 perché se l’era preso la nazionale italiana.

Avevi una gran voglia di tornare el Diego. “Non temo di fare brutte figure. Sto curando la rapidità, mi manca ancora lo sprint” dicevi. E poi: “Se ho solo dieci cartucce, le sparo tutte e Usa ‘94”.

L’America mobilitò le “stelle” dello spettacolo per lanciare il Mondiale, Faye Dunaway e Stevie Wonder, e Bill Clinton disse: “L’amore per questo sport è una lingua universale che riesce ad affratellare la gente”. Prepararono stadi grandissimi in nove città, ma i sondaggi segnalarono che il 90 per cento degli americani neanche sapeva che nel loro Paese si sarebbero giocati i Mondiali di calcio. Però sapevano chi era Diego Armando Maradona. L’unica “stella” conosciuta fra i 528 calciatori che sbarcarono in America.

Con te, Dieguito, c’erano sempre un articolo e una foto da prima pagina. Come quando mostrasti la maglietta sulla quale era scritto: “Se giocando ti strappo un sorriso, voglio giocare tutta la vita”. Batistuta disse: “Siamo stregati dal carisma di Diego, per lui ci sottoporremmo a qualunque sacrificio”.

Avevi portato l’Argentina alla fase finale con quell’assist irresistibile che consentì a Balbo di segnare il gol della qualificazione nello spareggio-brivido con l’Australia, 1-0 appena. I brasiliani dicevano che l’Argentina era la squadra da battere. “Siamo un bel gruppo” dicevi. “Abbiamo la punta più forte, Batistuta. C’è il mio amico Caniggia. Ci sono Balbo, Simeone, Redondo, Sensini”.

Il commissario tecnico Basile aveva solo il problema del portiere. Voleva far giocare Islas, ma chi glielo diceva a Goycoechea, il portiere che aveva parato i rigori a Italia ’90, che era l’escluso? Gli parlasti tu e il problema fu risolto. Tu eri il grande capitano della nazionale. Tu avevi il carisma per farlo, leale, generoso, disponibile.

Portavi nel cuore un sentimento grande: “Voglio riconquistare la stima di mia moglie e delle mie figlie. Dalma e Giannina devono essere di nuovo orgogliose del loro papà”.

L’Argentina avrebbe debuttato a Boston il 21 giugno contro la Grecia.

Palloni leggeri, partite che si giocavano a mezzogiorno, tre punti a vittoria. Questo fu Usa ’94. C’era il Brasile di Bebeto, Romario, Aldair, Dunga, Taffarel e, tra le riserve, Ronaldo che aveva 18 anni. C’erano i vecchietti della Germania campione del mondo: Matthaeus aveva 33 anni, Voeller 34, Klinsmann 30. C’erano la Colombia di Asprilla, la Romania di Hagi, gli Stati Uniti ovviamente, la Bolivia e la Corea del sud, il Marocco, l’Arabia Saudita, l’Olanda dei fratelli De Boer. Insomma 24 squadre. E l’Italia ossessionata da Sacchi con Roberto Baggio, Zola, Signori, Franco Baresi, Paolo Maldini, Casiraghi. Favorita al pari del Brasile.

Un ricco signore, Sacchi, che aveva firmato con la Federcalcio un contratto di quattro anni per undici miliardi e mezzo. E quanto valevi tu, Dieguito, che eri la “stella” del Mondiale a 34 anni?

Umidità micidiale e temperatura verso i 40 gradi. Una pazzia. Argentina-Grecia era fissata per le 12,30 al Foxboro Stadium di Boston, 53mila posti. Dicesti la tua: “Questa manifestazione è stata studiata in modo sbagliato. E’ assurdo che si giochi a mezzogiorno con un clima che può causare anche malori e drammi. Havelange e Blatter sono degli egoisti. Hanno pensato solo ai quattrini della tv che ha imposto orari assurdi per trasmettere le partite all’ora più favorevole per vederle in Europa”.

Attento, Diego. Il potere non perdona. Si vociferava che volevi costituire un sindacato mondiale dei calciatori. Blatter ti teneva d’occhio.

Basile tenne questo discorsetto: “Niente individualismi. Dovete aiutarvi l’un l’altro. Se teniamo la palla, se stiamo compatti può funzionare”. Era un’Argentina votata all’attacco. I greci sarebbero stati duri e orgogliosi.

Li smontò presto Batistuta. Un gol dopo due minuti. Stavi bene in campo, Diego. La squadra funzionava. Vi trovavate a meraviglia. Batistuta fece un altro gol e si chiuse il primo tempo.

Il tuo gol venne nella ripresa, Dieguito. A Napoli fu una festa. Un traversone, Redondo ti mollò la palla con eleganza e la tua sublime prodezza la spedì in rete. Il premio di tanti sacrifici e la tua esplosione di intensa felicità.

Corresti incontro alla telecamera che era a bordocampo, quasi entravi nell’obiettivo. Urlavi. Un solo, lungo, straziante urlo di rivincita e di liberazione. La felicità grande, la corsa sul campo, il viso troppo vicino all’obiettivo deformarono la tua immagine. Sembrasti un invasato, stravolto il viso. Ma era solo l’esplosione del momento che avevi sognato, trattenuto nel cuore, sofferto a lungo, la prodezza che cancellava ingiurie e agguati, squalifiche, carcere, umiliazioni. Il gol più bello del Mondiale, il gol più bello per la tua anima finalmente liberata alla gioia.

Quel tuo urlo, sul campo di Boston, ci entrò negli occhi e nel cuore, a Napoli. Tremarono gli apparecchi televisivi. Per il tuo gol e la vittoria sulla Grecia, 4-0, segnò ancora Batistuta su rigore, facemmo caroselli. Festeggiammo la tua vittoria come ai tempi degli scudetti azzurri, e ancora di più, perché mai ti avevamo dimenticato e quel giorno che tornasti grande a Boston fu il giorno che ci scuotemmo tutti dalla malinconia, dalla nostalgia, dagli affanni di cuore per la tua vita e le tue disavventure. E fummo felici, sconsideratamente felici che ci veniva da piangere. Perché eri ancora il nostro straordinario Dieguito, più forte di ogni avversità. Perché eri ancora uno di noi che, a Napoli, ben conosciamo la sofferenza e le umiliazioni, il dolore, la sconfitta, e aspettiamo da una vita di urlare la felicità di un riscatto.

“E’ un urlo che mi è uscito spontaneo” dicesti. “E’ l’urlo che ha chiuso un ciclo iniziato con la squalifica subita in Italia. Da allora non ero più riuscito a manifestare un po’ di gioia”. Sapevi il bene che ti volevamo? “Dedico il gol alla patria, alle mie figlie e a chi soffre come ho sofferto io, finalmente mi sento libero”.

Quando ti dissero dei caroselli che avevamo fatto a Napoli, dicesti: “L’affetto è ricambiato, non dimenticherò mai i tifosi napoletani. Siamo diventati fratelli a Verona, nello stadio di Verona che accolse i napoletani con frasi ingiuriose e razziste, e con quello striscione che diceva: lavatevi”.

Non ti ricordavi certo del giornalista del “Boston Globe” che aveva scritto: “Il calcio è un passatempo per scimmioni”. Dopo averti visto giocare, contro la Grecia, Dan Shaugnessy scrisse: “I take it all back. Mi rimangio tutto. Soccer is my life, thank you Diego”.

Il re è tornato. Questo fu il messaggio forte e chiaro che arrivò da Boston nel pomeriggio napoletano del 21 giugno. La tua felicità, Dieguito, era la nostra.

La nazionale italiana aveva i soliti patemi e gli occhi spiritati di Sacchi. Ci bastonò l’Irlanda del nord, rifilammo un golletto ai norvegesi per mantenerci a galla. Musi lunghi, tormenti, critiche: la solita manfrina italica.

C’era festa, invece, al “Babson College” fuori Boston. Il tango argentino aveva tramortito la Grecia. Rivedemmo a lungo il tuo gol in tv, Diego. Circondato da quattro difensori greci batti dal limite dell’area il pallone che vola sotto l’incrocio dei pali. Il sinistro magico era tornato a colpire e quel gol apparteneva al nostro cuore.

Eri felice, caro Diego, con Claudia, con Dalma e Giannina, e papà Chitoro. Felice come un bambino, dicesti. “Siamo più forti che al Mondiale in Italia” disse Caniggia. “Calma, ragazzi. Cerchiamo di vivere alla giornata” fu il tuo ammonimento.

Contro i greci avevi giocato una grande partita. Basile ti aveva risparmiato gli ultimi sei minuti facendo entrare Ariel Ortega del River Plate. Era il tuo compagno di stanza. Fosti contento per lui.

Il secondo impegno era contro i nigeriani allenati dall’olandese Clemence Westerhof, uno con la faccia di un bullo romano. Gli africani avevano dissolto la Bulgaria di Stoichkov con tre gol. Dondolavano sul campo, sembravano pigri, ma toccavano bene il pallone ed erano dei fusti neri col sorriso sulle labbra e il coltello fra i denti. Erano giovani e forti. Esplosivi.

Tranne due, tutti oltre il metro e ottanta, quasi un metro e novanta il portiere Rufai. La loro “stella” era George Finidi, attaccante sulla fascia destra, 23 anni. George era il cognome, il nome Finidi significava “futuro pieno di sole”. Cresciuto alla scuola dell’Ajax. Il centravanti Rashid Yekini lo chiamavano “Kaduna Bull”, il toro di Kaduna, miglior giocatore nigeriano di sempre, 31 anni. E tutti loro erano le Aquile Verdi. Si vantavano d’essere la migliore razza africana: muscoli poderosi e guizzanti.

L’appuntamento era ancora allo stadio di Boston. Basile mandò in campo questa formazione: Islas; Sensini, Chamot; Simeone, Caceres, Ruggeri; Caniggia, Redondo, Batistuta, Maradona, Balbo.

Prima che poteste iniziare il tango, gli africani andarono in gol. Lo segnò il meno noto di loro, Samson Siasia, 26 anni, uno che giocava in Europa, nel Nantes. Sorpresa. Dopo nove minuti, un match in salita. Tenere la palla, farla girare, far correre a vuoto gli stangoni della Nigeria. Assorbito il colpo, lo faceste molto bene. Senza ansia. Eri tranquillo, Dieguito. Sapevi che ce l’avreste fatta. Avevi lavorato duro per farcela.

Ti cercavamo sullo schermo tv. Ti cercavano i tuoi compagni. Redondo, Balbo, Caniggia. Non potevate fallire.

Fu dura e non falliste. Volò la criniera bionda di Caniggia verso il gol. Volò due volte. Nel primo tempo. E il risultato fu capovolto. Correvi, Dieguito. Eri meravigliosamente in partita. Il pallone sotto il piede fatato, provassero gli stangoni a togliertelo. Prima di cominciare, l’avevi dato il bacio in fronte a Carmando come facevi a Napoli? C’era sfuggito.

Le Aquile Verdi piegarono le ali. Vittoria limpida e c’era una squadra forte attorno a te, Diego. E’ quello che dissero i brasiliani: “Quest’Argentina arriverà in finale”.

Era il tardo pomeriggio a Boston, la partita era cominciata alle 16. Quando finì, a Napoli facemmo un’altra ammuina. Davanti ai teleschermi, urlavamo: “Diego, Diego”.

Stavi venendo fuori dal campo salutando il pubblico. C’era Claudia in tribuna e salutavi lei. Vedemmo una donna bionda venirti incontro. Indossava una tuta bianca, era alta, aveva la coda di cavallo e un nastrino verde le tratteneva i capelli sulla nuca. Era gentile. Ti prese per mano. Sembrò una scena romantica. Ne fosti sorpreso.

Guardasti verso la tribuna dov’era Claudia come a dirle: “E questa chi è?”. La donna era una magnifica ragazza, una di quelle americane che sono il ritratto della salute.

Il collegamento televisivo si concluse. L’ultima immagine fu proprio quella, tu e la ragazza bionda.

Maledetta America, Dieguito, e maledette le poliziotte americane bionde con la coda di cavallo. Ma dove ti portava il bel donnino? Ma che cosa voleva? Che cos’era tutto quel riguardo?

Era stata una gran partita con la Nigeria e l’Argentina saliva nei pronostici del Mondiale. La poliziotta ti portò all’antidoping, ecco tutto. Analisi per quattro giocatori: tu e il difensore Sergio Vazquez e due nigeriani.

Tutto a posto? Fu una sera di festa al Babson College per la vittoria sugli africani. L’Argentina avrebbe giocato la partita successiva a Dallas, giovedì 30 giugno, contro la Bulgaria, avversario ostico in corsa per la qualificazione agli ottavi di finale. “Eravamo felici come bambini”, hai scritto nel tuo libro.

Il cielo si annuvolò tre giorni dopo ed era il martedì 28 giugno. Al Babson College fu un giorno di libertà dopo un allenamento leggero. Faceva molto caldo, meglio non spremersi troppo. Nel giardino dell’albergo c’era papà Chitoro, c’era Claudia, c’erano il portiere Goycoechea e sua moglie Ana Laura. Scherzavi con loro.

L’allegria si bloccò quando arrivò Marcos Franchi. Aveva la faccia scura. “E’ morto qualcuno, Marcos?”. Gli dicesti, più o meno. Lui disse: “Diego, ti devo parlare un minuto”. Non si perse in chiacchiere. “Il controllo antidoping è risultato positivo, i dirigenti se ne stanno occupando”.

Il controllo antidoping. Per un momento pensasti a Sergio Vazquez. Guardasti Claudia, in ansia. Non c’era da pensare a Vazquez. “Ho sgobbato come un mulo e adesso mi succede questo” mormorasti. Era più di un presentimento.

Claudia ti venne vicino, salisti in camera con lei e scoppiasti a piangere. In giardino arrivò Salvatore Carmando, il massaggiatore napoletano che avevi voluto in America, il massaggiatore fedele. “Che cosa succede”? chiese. Nessuno seppe rispondergli. Nessuno sapeva niente di preciso.

Tra i giornalisti al Mondiale cominciò a correre una voce. C’è un caso di doping. La Fifa dovette intervenire: “C’è un possibile caso di doping, ma non possiamo dare il nome del giocatore sino al risultato delle controanalisi”.
La felicità finì quel giorno, a Boston. Il gol alla Grecia, il partitone contro la Nigeria. Tutto ti sembrò irreale, Diego. Avvertisti il temporale che ti stava investendo.

Il giorno dopo bisognava andare a Dallas per la partita con la Bulgaria. Nel pomeriggio, con la squadra, giungesti nella città del Texas. Scendesti dall’aereo con la tuta della nazionale e un cappellino azzurro che ti avevano regalato Dalma e Gianinna. Avevi gli occhiali scuri. Non fu un buon segno.

Sistemazione allo Sheraton Park Central e verso le 19 il sopralluogo al campo di gioco, il Cotton Bowl, uno stadio grande di 72mila spettatori con belle tribune a sbalzo nel grande parco della città, il Fair Park di Dallas, però un caldo micidiale, sopra i 40 gradi. I giornalisti, tantissimi, tenuti lontani, sulle tribune, la nazionale argentina sul prato, al centro del campo, senza neppure un pallone.

Erano tutti segnali mesti o volevate solo sentire sotto i piedi il terreno di gioco? Quello che tutti videro è che stavi in mezzo agli altri senza mai guardare verso le tribune. E poi videro che andasti verso una delle porte di gioco e toccasti la rete, come se ti aggrappassi ad essa, e poi rimanesti a parlare con i tuoi compagni.

Il dirigente dell’Argentina, Edoardo De Luca, disse ai giornalisti: “Siamo un po’ preoccupati. Maradona? Ma chi ha detto che si tratta di Maradona?”. Un altro dirigente disse: “Vi do alcune notizie sulla formazione per la partita di domani. Sensini infortunato sarà sostituito da Hernan Diaz. Per il resto, in campo Maradona e Caniggia”.

I giornalisti cercarono di saperne di più da Ernesto Ugalde, il medico della nazionale, e da David Pintado, presidente del River Plate e dirigente della Federazione argentina. Dissero una cosa: a Los Angeles, per le controanalisi, è partito il legale di Maradona, Daniel Bolotnikvov.

A tarda sera, il presidente della Federazione argentina, Julio Grondona, ammise: “La partita in questione è Argentina-Nigeria. Il giocatore è Maradona. Nelle sue urine sono state trovate tracce di efedrina contenuta in un decongestionante nasale usato da Diego per il raffreddore. Si tratta del Nastizol, molto diffuso in Argentina”.

Era tutta la verità?

Il giorno dopo, Diego, a poche ore dalla partita, l’Argentina ritirava il tuo nome dal Mondiale e dalla Fifa arrivava una sospensione cautelativa. Da Los Angeles era arrivata la sentenza: controanalisi positiva.

Non avresti giocato contro la Bulgaria. Sarebbe stata, Diego, la tua ventiduesima partita nelle fasi finali dei Mondiali. Un record. Non facevi più parte della nazionale argentina. Le controanalisi di Los Angeles avevano confermato la tua positività.

Si susseguirono le dichiarazioni ufficiali. Michel D’Hooghe, belga, capo della Commissione medica della Fifa: “In entrambe le analisi, nelle urine di Maradona sono state trovate ben cinque sostanze, due proibite, l’efedrina e la nor-efedrina, e tre sostanze alleate, la pseudo-efedrina, la nor-pseudo-efedrina, la meta-efedrina”. Spiegarono che il “cocktail”, come lo chiamarono, aumentava la capacità di concentrazione e il rendimento fisico. Dissero che non c’era in commercio un prodotto con tutte e cinque le sostanze e che perciò era stato preparato appositamente per te. Un “cocktail”, appunto. Un doping dell’età della pietra, dissero in molti.

Venne sottolineato che nessuna delle cinque sostanze, rilevate nelle urine, appariva nella lista dei medicamenti che avevi usato nelle ultime 48 ore. Non figuravano nella lista che la Federazione argentina, prima della gara, aveva consegnato all’arbitro della partita con la Nigeria, come da regolamento.

Lo spagnolo Pablo Porta Bussoms, presidente della Commissione disciplinare della Fifa, disse: “La precedente squalifica in Italia, estesa dalla Fifa in tutto il mondo, e l’arresto per cocaina in Argentina, sono stati gravi precedenti”. I dirigenti argentini dissero: “Diego ha preso il medicinale di sua iniziativa senza dire niente a nessuno, né ai medici, né ai compagni, né ai dirigenti. Perciò prima della partita con la Nigeria non abbiamo avvertito l’arbitro dell’assunzione del medicinale come prevede il regolamento”.

Ti lasciarono solo, Diego. La responsabilità fu tutta tua, l’Argentina poteva continuare il Mondiale. La nazionale spagnola aveva invece difeso un suo calciatore al Mondiale 1986, Rafael Calderè. Furono trovate tracce di efedrina nelle sue urine. Il medico della squadra iberica se ne assunse tutte le responsabilità. Dichiarò che aveva somministrato lui la sostanza all’insaputa del giocatore. Il medico, Jorge Guillen, fu squalificato, Calderè proseguì il Mondiale.

Nessuno, in America, ti tese una mano. Il fedele Fernando Signorini dichiarò alla Fifa di averti somministrato il Desirex contenente efedrina per farti respirare meglio. Ma il Desirex non conteneva le altre quattro sostanze rilevate dalle analisi. Eri in trappola, Dieguito. Eri disperato. “Aiutatemi, ho paura di fare una sciocchezza” fu il tuo grido.

Il giorno della partita con la Bulgaria, la nazionale andò allo stadio di Dallas. Rimanesti in albergo. Non avevi dormito tutta la notte. C’era sempre Claudia con te. C’erano Marcos Franchi, Signorini, Salvatore Carmando. “Aiutatemi” continuavi a dire. Nella camera d’albergo parlasti davanti alle telecamere dell’emittente argentina Canal 13.

Cercasti di non piangere, mentre parlavi. Cominciasti con un sussurro: “Mi hanno tagliato le gambe”. Avevi difficoltà a parlare con il groppo che ti serrava la gola. Tirasti fuori tutto il tuo temperamento battagliero: “Il giorno che mi sono drogato, sono andato io dal giudice a dirgli: mi sono drogato, sono pronto a pagare. E ho pagato. Ma ora non capisco. Credevo che la giustizia fosse buona, ma con me ha sbagliato”.

Giurasti che non ti eri drogato per correre di più, per giocare meglio. “Mi hanno spezzato l’anima” dicesti davanti alle telecamere.

Quello che dicesti dopo fu che era stato uno stupido errore. Così dicesti: “Innanzi tutto, non si trattava di cocaina. E tutto il mondo sa che non c’è bisogno dell’efedrina per correre. Avevo lavorato duro per il Mondiale. Daniel Cerrini mi aveva aiutato a trovare il peso-forma quando andai a giocare col Newell’s di Rosario. Usavo una dieta cinese. Cerrini era un dietologo e un preparatore fisico di cui mi fidavo. E perciò lo volli anche in America. Quando andammo a giocare a Zagabria l’amichevole contro la Croazia ero ancora grasso. Mi presentai in America che avevo perduto quattordici chili. Per ridurre lo stimolo della fame, in Argentina, prendevo il Ripped Fast permesso dai regolamenti Fifa. A Boston non ne avevo più e allora Cerrini cercò un prodotto simile. Trovò il Ripped Fuel. Ma non era la stessa cosa. Il Fuel conteneva l’efedrina e le altre quattro sostanze trovate nelle mie urine. Ma questo lo seppi al ritorno a Buenos Aires quando feci sottoporre il Fuel ad analisi. In America facemmo tutto alla luce del sole e tutti sapevano che Cerrini si incaricava degli integratori. Il medico della nazionale Ugalde, per salvare il posto, disse che lui non c’entrava niente. Io mi presi le responsabilità dell’operato di Cerrini. Non avevo nulla da nascondere. Poi mi dissero che, alle controanalisi di Los Angeles, il flacone delle mie urine era stato presentato aperto al momento della controprova, una irregolarità che avrebbe reso nulle le controanalisi. Ma al dottor Carlos Peidrò non fu permesso né di protestare, né di parlare”.

La verità vera non s’è mai saputa. Intanto, il Mondiale 1994 era finito per il pibe. E, adesso, Dieguito?

La stampa americana offrì il peggio di sé. Erano i giorni del processo a Orenthal James Simpson, l’idolo nero del football americano sotto il peso di 113 indizi per il duplice assassinio dell’ex moglie Nicole Brown e del suo amico Ronald Goldman. Sfilavano cortei con cartelli: “Liberate O.J.”

Per anni la stampa americana aveva tenuto nascoste ai lettori le violenze del campione sulla moglie spedita spesso a calci e pugni in ospedale. E, durante il processo, ai colpevolisti si opposero fervidi innocentisti. O.J. Simpson era un idolo, il campione coraggioso, il mito di milioni di giovani. Non poteva avere ammazzato l’ex moglie e l’amico. Non c’erano prove certe, ma 113 indizi erano una montagna.

Per Simpson ogni riguardo, ogni ricorso al dubbio (e la faccenda si chiuderà con la clamorosa assoluzione di una giuria nera). Per Diego Armando Maradona nessun dubbio. Colpevole a prescindere dalla analisi.

Nel basket e nel football americano, la droga si sprecava. Forse la sapevano usare ed erano miti da salvare, prudentemente non sottoposti all’antidoping. Il calcio, per gli americani, era uno sport corrotto dove esisteva il doping. Così pensavano e scrivevano.

I giornali si scatenarono. Simpson poteva essere innocente, Maradona no. I sondaggi rivelarono addirittura che, se O.J. aveva ucciso, “aveva fatto bene”. I tabloid americani furono spietati solo con te, Diego. Un giudizio unanime e irrevocabile.

Quanto soffristi? Eri l’unico mostro da sbattere in prima pagina. Eri “il drogato”, e basta. Il New York Times scrisse: “Sono venuti 528 calciatori al Mondiale e se si fosse fatto un sondaggio per sapere chi avrebbe potuto fare scandalo, il nome sarebbe stato uno solo: Diego Armando Maradona”.

Mostruoso. Eri più mostro, Diego, di un campione fortemente sospettato di due assassinii. George Vecsey, sul New York Times, non aveva dubbi. Per lui tu eri “un mostro fabbricato dalle adoranti folle argentine e italiane con troppi soldi e nessun rispetto per nessuno”.

Un vero e proprio linciaggio sui giornali e alle televisioni. E abbandonato da tutti. Vennero a consolarti due tecnici, Solari e Menotti. Quando si giocò Argentina-Bulgaria, la tua immagine fu proposta continuamente in sovrimpressione nelle dirette tv. Il tuo urlo davanti alla telecamere di Boston dopo il gol alla Grecia. Un gioco al massacro.

Nel resto del mondo non fu la stessa cosa. Sfilarono cortei a Buenos Aires. Napoli gridò il suo amore grande per te. La protesta più clamorosa giunse dal Bangladesh dove il calcio è lo sport più seguito. Cinquecento studenti sfilarono nella città di Pabna urlando: “Basta con il complotto della Fifa”, “Vogliamo Maradona”. Il giornale Dainik Bangla uscì con una intera pagina sormontata dal titolo: “Bangladesh in lutto”. I cuori semplici palpitavano per te.

Vedesti la partita dell’Argentina con la Bulgaria nell’albergo di Dallas, nella camera di Marcos Franchi con Signorini e Claudia senza dir nulla, senza gridare, assente. Avevi solo voglia di andartene dall’America. C’era un volo per Boston alle cinque del mattino, poi Buenos Aires.

La partita andò male per l’Argentina battuta dai bulgari 2-0. Un gol di Stoichkov, poi la mazzata del raddoppio di Sirakov al 91’. Un gol che non ci voleva perché, per la differenza-reti, condannava l’Argentina a un possibile ripescaggio. Fu ripescata, come successe anche all’Italia di Arrigo Sacchi. Al ritorno in albergo Redondo ti disse: “Diego, ti cercavo sul campo, ti ho cercato continuamente”. Vi abbracciaste, commossi.

Prendesti l’aereo per Boston. Ma non te ne andasti dall’America. Con Claudia trovasti una casa in fitto a Boston. Canal 13 ti aveva invitato a rimanere per commentare in tv le partite dell’Argentina. La Fifa ti rilasciò gli accrediti necessari. Potevi fare il giornalista televisivo. Per la sospensione dal campionato nulla da fare. Decisione inappellabile.

Un giornalista eccezionale, ovviamente, pagato un milione e 300mila dollari. Quando il 3 luglio, per Argentina-Romania, apparisti al Rose Bowl, la splendida arena di Pasadena, ti salutò il boato della folla e i tifosi argentini ti invocarono a lungo.

Facesti un gran tifo e, alla fine della partita, dovevi parlare in tv. Andò male per l’Argentina, eliminata dai romeni 3-2. Batistuta segnò su rigore, un gol fece Balbo. Non bastarono. Al tuo posto giocò Basualdo, un vigoroso centrocampista del Velez Sarsfield, 31 anni. L’Argentina uscì dal Mondiale.

Dicesti davanti al microfono: “L’invidia di alcuni ci ha fatto fuori. Non ci hanno eliminato dentro il campo, ma fuori. Con la mia squalifica hanno spezzato le gambe non solo a me, ma a tutta la squadra. Oggi non è stata la solita Argentina. La mia vicenda e l’assenza di Caniggia devono avere condizionato i ragazzi. Abbiamo costruito venti palle-gol. Potevamo andare ai supplementari. Peccato. Mi resta qualche dubbio sull’arbitraggio: il fallo su Simeone era dentro l’area, non fuori”.

Mondiale finito per l’Argentina, finito anche per te, Diego. Canal 13 tornava a casa.

Addio, America crudele.

Ti imbarcasti da Los Angeles su un lungo volo: Boston, New York, Buenos Aires. La squadra prese un altro aereo. Tornasti in Argentina con Claudia. Lei disse: “Glielo avevo detto a Diego di non fidarsi di certe persone. Non mi ha creduto ed ecco il risultato. Lo hanno fregato”.

Ma era proprio vero che gli sponsor che avevano insistito per la tua partecipazione al Mondiale, fondamentale per il successo della competizione, ti avevano assicurato l’esonero dai controlli antidoping? Tante cose si dissero.

Intanto, eri tornato a casa, pibe.

A fine agosto, arriva da Zurigo la sentenza della Fifa: 15 mesi di squalifica e una multa di 25 milioni. Verdetto inappellabile. E l’assicurazione di Havelange di una pena “non troppo pesante”? Alla fine della squalifica avrai 35 anni. “Mi hanno tagliato le gambe”, ripeti.

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GULLIT:"Quando vedo Messi penso che è un grande calciatore ma è protetto: dagli arbitri, dalle telecamere, dal regolamento. Messi può limitarsi a dribblare. Diego doveva saltare alto così, non per fare dribbling ma perché volevano spezzargli le gambe".


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arres82 ha scritto:
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gLIELO RUBARONO QUEL moNDIALE , LO AVREBBE VINTO CERTAMENTE.

Ma non eri tu a dire che "con i se e i ma non si fa la storia"?


DIPENDE SEMPRE DAL CONTESTO DI CUI SI PARLA.
aRRIGO sACCHI HA DETTO CHE CON mARADONA AVREBBE CERTAMENTE E SENZA DUBBIO VINTO l'ARGENTINA.

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GULLIT:"Quando vedo Messi penso che è un grande calciatore ma è protetto: dagli arbitri, dalle telecamere, dal regolamento. Messi può limitarsi a dribblare. Diego doveva saltare alto così, non per fare dribbling ma perché volevano spezzargli le gambe".


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a 34 anni e dopo mille problemi e 2 anni di inattivita' insegna ancora football.

Maradona Vs Nigeria ampia sintesi.

http://www.youtube.com/watch?v=V3l89BxHLQU

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GULLIT:"Quando vedo Messi penso che è un grande calciatore ma è protetto: dagli arbitri, dalle telecamere, dal regolamento. Messi può limitarsi a dribblare. Diego doveva saltare alto così, non per fare dribbling ma perché volevano spezzargli le gambe".


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Diego insegna calcio agli africani :8)

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ai miei tempi negli anni 80 mi aberravo in strada


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Ai sopravvalutati africani.

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Ma basta te, cos'è tutto questo astio contro il calcio africano.....càzzo ti hanno fatto di male, qualche cioccolatino si è concesso un bunga bunga con la tizia che tanto ti piaceva? :asd

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:vola


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No, il mio astio nei loro confronti è esclusivamente di natura calcistica :asd

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cos'è tutto questo astio contro il calcio africano.....càzzo ti hanno fatto di male, qualche cioccolatino si è concesso un bunga bunga con la tizia che tanto ti piaceva?

Hai appena superato Maldini: sei il mio nuovo idolo :love

:rofl :rofl :rofl

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LASCIATO SENZA PAROLE DA QUESTO MERCATO E DA QUESTA SCELTA SOCIETARIA!

Cos'è tutto questo astio contro il calcio africano...càzzo ti hanno fatto di male, qualche cioccolatino si è concesso un bunga bunga con la tizia che tanto ti piaceva? ACM


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