A PORTA SPRANGATA - Inter 1964
La Grande Inter, forse la massima espressione del catenaccio italico, è un ricordo che ancora vive nella mente di tutti i tifosi nerazzurri per i trionfi in Coppa Campioni da allora mai più replicati. Il presidente Angelo Moratti, salito al soglio presidenziale nel 1955, ci arriva dopo lunghe e travagliate stagioni, nelle quali spende a destra e a manca ma non riesce mai a trovare la giusta quadratura del cerchio. Fino al 1960, anno della folgorazione per un allenatore argentino che sta spopolando in Spagna alla guida del Barcellona: Helenio Herrera. Lo chiamano “Abla Abla” perché una delle sue caratteristiche è quella di parlare tanto e cercare l’assecondamento costante tra i suoi interlocutori. Ma il soprannome che meglio rispecchia il suo valore sul campo è quello di “Mago”: con il Barça è riuscito ad arrestare il monopolio del Grande Real vincendo due scudetti, e in Coppa Campioni si è fermato a un passo dalla vittoria finale, sconfitto 3-2 dal Benfica.
Quando arriva a Milano, Herrera è ben lontano da quel catenaccio, di cui poi si dirà padre spirituale, con una delle sue solite esternazioni verbali: in Spagna aveva predicato un calcio offensivo e spettacolare, incentrato su assi della pedata quali gli ungheresi Czibor e Kocsis, l’astro nascente Suarez, il factotum ceco-ungherese Kubala. La sua rivoluzione è tangibile fin dagli inizi: preparazione atletica superiore, studiata nei minimi dettagli; corsa continua senza palla, attacco sistematico ai portatori avversari (il pressing, già visto all’opera in Italia in modo costante con il Grande Torino). Nei primi anni, il canovaccio è sempre lo stesso: l’Inter, meglio assemblata degli avversari, parte a mille e fa il vuoto intorno; giunta a marzo però le energie vengono meno e il crollo è repentino.
Consigliato da Brera e Moratti a passare al catenaccio, Herrera si converte, abbinando così al nuovo modulo le proprie idee atletiche. E quando a tutto questo, sposa l’arte di sublimi interpreti, il gioco è fatto e nasce la Grande Inter. Dal 1963 al 1967 il dominio dei nerazzurri è pressoché assoluto: due Coppe Campioni (64 e 65), due scudetti (65 e 66, più quello del 64 perso allo spareggio contro il Bologna), due Intercontinentali (65 e 66).
Il catenaccio di Herrera era così congeniato: partendo dalla base della formazione sistemista, Herrera arretrò un mediano, il n°6, a fare il libero dietro la difesa a tre, composta dal terzino destro (n°2) che era un cosiddetto terzino bloccato o di posizione, cioè rimaneva perennemente in difesa al fianco dello stopper marcando l'ala sinistra avversaria, lo stopper, appunto, (n°5), il vecchio centromediano metodista, che aveva il compito di marcare il centravanti perdendo le sue funzioni di impostazione del gioco affidate al libero dietro di lui, e poi il terzino sinistro (n°3), che era un fluidificante, cioè in fase offensiva percorreva la fascia dando man forte all'ala sinistra, arrivando a volte anche a battere a rete. In fase difensiva, marcava invece a uomo l'ala destra. Davanti al reparto difensivo rimaneva il mediano con il n°4 sulla schiena, che era il classico mediano dotato di un apparato polmonare superiore alla media, alla Oriali o alla Gattuso, se vogliamo fare un paragone. Al suo fianco arretrava la mezzala sinistra, il n°10, che si posizionava davanti alla difesa e impostava il gioco dell'intera squadra con precisissimi lanci di anche cinquanta metri. La mezzala destra (n°8) avanzava invece fino a quasi a ridosso del centravanti, diventando una specie di seconda punta ante litteram, a cui era affidato il compito di effettuare materialmente i contropiedi e di segnare il più possibile. L'ala destra (n°7), sinistra (n°11) e il centravanti (n°9) mantenevano invece inalterati i propri ruoli originari. Ecco la formazione base dettagliata del catenaccio di Herrera:
________________________________________________Portiere
__________________________________________________n°1
________________________________________Battitore Libero
_____________________________________________n° 6
__________________________________________________________Stopper
______________Terzino Destro Bloccato___________________________n°5
_______________________n°2_____________________________________________________Terzino Sinistro Fluidificante
_________________________________________________________________________________________n°3
_________________________________________________Mezzala Sinistra di Regia
_________________________Mediano di Rottura_________________n°10
_______________________________n°4
Ala Destra
__n°7____________________Mezzala Destra d'Attacco
__________________________________n°8_____________________________________________________Ala Sinistra
___________________________________________________Centravanti_________________________________n°11
______________________________________________________n°9
Ecco invece i giocatori che interpretarono al meglio questa formazione:
Davanti al portiere Sarti, maestro del piazzamento, la difesa si avvale dell’esperienza e della qualità del libero livornese Armando Picchi, che dirige l’intero reparto e aziona il micidiale contropiede con battute lunghe. Davanti a lui il trio dei difensori puri: a destra il roccioso Burgnich, terzino marcatore, considerato finito dalla Juventus e riportato ad altissime cifre di rendimento da Herrera; in mezzo lo stopper Guarneri, lungagnone difficile da superare; a sinistra poi, il bergamasco Giacinto Facchetti. Bersagliato dai fischi di San Siro a causa degli impacci palesati nella prima stagione, si riscatta alla grande nelle successive diventando uno dei punti di forza della squadra e il miglior terzino fluidificante del Mondo. Facchetti raccoglie l’eredità dei Maroso e dei Cervato e va oltre: non si limita a coprire sull’ala di competenza e salire per dare manforte in fase d’attacco, ma si avventura anche nell’area avversaria diventando una pericolosissima macchina da gol. La difesa è fortissima, una vera e propria Maginot ed è su questa fortezza che l’Inter può costruire la propria strepitosa forza d’urto.
A centrocampo, Bedin o Tagnin è il classico mediano sette polmoni, mentre in cabina di regia agisce il più grande, lo spagnolo Luis Suarez. Fatto arrivare apposta da Herrera che ne aveva fatto uno dei cardini del suo Barcellona, il regista iberico, fresco di titolo europeo e Pallone d’Oro, si trasforma da mezzala d’attacco a regista classico, prendendo in mano le operazioni e diventando il cervello della squadra. Proverbiali i suoi lanci di 40-50 metri capaci di capovolgere il fronte del gioco, Suarez spende energia anche in prodigiosi recuperi difensivi, fornendo un’indispensabile mano sotto il profilo atletico e dinamico. A sinistra, impazza Mariolino Corso, artista indolente, capace di tutto nel bene come nel male. L’attacco ruota attorno alla figura del centravanti Milani, boa che apre spazi per la rapidità e la tecnica di Sandrino Mazzola, figlio della gloria Valentino e lanciato titolare nella stagione ’62-’63. Dall’ala parte invece il brasiliano Jair, dalle irresistibili finte.
Ecco la formazione tipo della grande Inter:
_________________________________________________Sarti
__________________________________________________n°1
____________________________________________Picchi
_____________________________________________n° 6
__________________________________________________________Guarneri
_____________________Burgnich________________________________n°5
_______________________n°2_____________________________________________________________Facchetti
_________________________________________________________________________________________n°3
________________________________________________________Suarez
______________________________Bedin_______________________n°10
_______________________________n°4
__Jair
__n°7___________________________Mazzola
__________________________________n°8________________________________________________________Corso
_____________________________________________________Milani____________________________________n°11
______________________________________________________n°9
Un complesso fantastico, basato sui lanci di Picchi e Suarez e in grado in fase di possesso palla di sviluppare un gioco spettacolare e offensivo, con quattro, cinque uomini perennemente proiettati a far male. Il modo migliore per respingere le superficiali e ottuse accuse di chi considera il catenaccio un sistema di gioco insensibile alle istanze dell’attacco. Qui sta anche la grandezza di Herrera: piegare l’esigenza del modulo ai solisti di cui dispone, in modo da rendere l’Inter una creatura flessibile e capace di ripiegare e distendersi con eguale naturalezza.
Il mito di squadra inattaccabile si infrange malinconicamente nel giro di un paio di settimane al termine della stagione ’66-’67: il 25 maggio arriva l’incredibile sconfitta in finale di Coppa Campioni contro il Celtic Glasgow, partita dove tutti i pronostici erano naturalmente pro Inter; una settimana dopo, un nuovo stop tra lo stupore generale (1-2 a Mantova, con papera di Sarti) che consegna lo scudetto alla più debole Juventus. E infine, il ko in semifinale di Coppa Italia, sul campo del Padova, squadra di serie B. Tre botte tremende per il morale e l’ossatura del progetto che cade a pezzi. Un anno dopo Angelo Moratti lascia la presidenza, seguito a stretto giro di posta da Herrera. Ancora oggi, a distanza di 40 anni, i tifosi nerazzurri sono in cerca di una squadra che possa renderli orgogliosi e primi nel Mondo, come fece la Grande Inter.
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questo è frutto dell'assemblaggio fra informazioni provenienti da wikipedia e da Marco Bode, con dei passaggi, soprattutto inerenti alla tattica, scritti direttamente da me. Questo intervento lo scrissi tempo addietro su un altro sito, di cui non posto il link perchè sarebbe spam, giusto?