Il trofeo che assegna la palma del Club Campione del Mondo. Inizialmente appannaggio dei vincitori della Coppa dei Campioni in Europa e della Coppa Libertadores in Sudamerica, il trofeo ha vissuto mille vicissitudini e cambi di formato fino ad arrivare all'attuale denominazione di Coppa del Mondo per club.
LA NASCITA DEL TROFEO
Era stato il "superiority complex" degli inglesi a fare scoccare la scintilla della Coppa dei Campioni, tutto era nato da un paio di successi amichevoli del Wolverhampton nell'inverno del 1954 che solo un amor proprio ferito a morte poteva suggerire di ingigantire oltremisura, strano da capire, i figli di Albione...
Da sempre si consideravano superiori a chiunque nel resto del mondo si dilettasse col calcio, di cui si consideravano ideatori e maestri, i primi esperimenti di interruzzione del loro "splendido isolamento" avevano sortito esiti rovinosi: eliminati dai dilettanti statunitensi ai Mondiali 1950, brutalizzati in casa e fuori nel doppio confronto amichevole con la Grande Ungheria (3-6 a Londra, 1-7 a Budapest), eliminati nei quarti dai Mondiali 1954, non era sembrato loro vero che i "Wolves" fossero capaci di battere in pochi giorni prima lo Spartak Mosca, rappresentante del misterioso calcio sovietico, per 4-1, poi la mitica Honved di Puskas e Kocsis con un più risicato 3-2 (in rimonta).
Due risultati colti in amichevole, per di più sul proprio campo, bastarono perché il "Daily Mirror" se ne uscisse con un titolo clamoroso: «Salutiamo i "Lupi", ora Campioni del Mondo».
Un po' forzata la spiegazione di tale affermazione: «Subito dopo la partita con la Honved, il loro manager Stanley Cullis ha detto: "Ora sono proprio i campioni del mondo"», la boutade non era stata digerita soprattutto dai francesi, Gabriel Hanot dell'"Equipe" in testa, e da lì era nato il progetto per un «Championnat d'Europe interclubs», sfociato nella Coppa dei Campioni, nata nel 1955 per sottoporre la temerarietà di certe affermazioni almeno a un attendibile giudizio tecnico sul terreno di gioco.
L'Europa si era dunque dotata di una grande competizione sovranazionale, il Sudamerica seguì a ruota. Cinque anni dopo, nel 1960 nasceva la Coppa Libertadores, torneo riservato alle squadre vincitrici dei rispettivi campionati nazionali e intitolato ai liberatori, i condottieri delle guerre di indipendenza dei paesi sudamericani contro i dominatori spagnoli. Santiago Bernabeu, presidentissimo del Real Madrid dominatore delle prime cinque edizioni della Coppa dei Campioni (di cui era stato uno dei più attivi promotori), era impaziente di regalare ribalte prestigiose alla propria formidabile squadra imbottita di stelle, la nascita della Libertadores stimolò nuovamente il suo spirito creativo. Quella incauta iperbole del Daily Mail («campioni del mondo») era un seme che poteva portare lontano: in sostanza, con cinque successi di fila il suo Real aveva ampiamente dimostrato di essere la più forte squadra d'Europa, probabilmente era anche la più forte del mondo. Ma come dimostrarlo? Ora che a una squadra campione d'Europa poteva contrapporsene un'altra regina del Sudamerica, l'assegnazione di quel titolo diventava possibile.
Sul piano organizzativo i problemi erano ovviamente più ridotti; bastava una sfida, con andata e ritorno tra le due più prestigiose scuole calcistiche del pianeta, per incoronare il club più forte del mondo.
La Fifa, gelosa delle proprie prerogative, negò tuttavia il proprio riconoscimento ufficiale alla manifestazione, un piccolo peccato originale che poi ne avrebbe condizionato spesso le sorti. Intervenne allora l'Uefa, che fece propria la proposta di Bernabeu, così ammantandola di una veste istituzionale, l'organismo europeo prospettava l'intenzione di organizzare un incontro tra il vincitore della Coppa dei Campioni e quello della Coppa Libertadores. La Fifa rispose negando categoricamente il permesso a mettere in palio un titolo mondiale e aggiungendo di non vedere benevolmente neppure la partita amichevole tra i due club, che peraltro non poteva vietare in base ai regolamenti vigenti. Le leggi internazionali del pallone consentivano a qualsiasi club di organizzare una partita a carattere amichevole anche con una squadra di altro continente, ma la manifestazione, questo il monito della Fifa, non poteva avere altro significato, nè l'Uefa poteva superare la propria competenza territoriale in Europa, così come la Confederazione sudamericana quella in America. Ciò però non bastò a fermare Bernabeu, che procedette senz'altro a organizzare gli incontri.La nuova coppa non ebbe un battesimo ufficiale. La si chiamò in due modi: Coppa Intercontinentale e anche Coppa Europa-Sudamerica. La prima edizione venne dunque subito disputata nel 1960 e quasi inevitabilmente bagnata dal successo dell'invincibile Real di Di Stefano e Puskas, sugli uruguaiani del Penarol. La risonanza non mancò, anche perché il titolo di "campione del mondo" di cui ora poteva fregiarsi il club madridistra, e che l'Uefa avallò, faceva indubbiamente un certo effetto. Persino troppo, almeno a giudicare dalla stizzita reazione della Fifa, in aperta polemica con l'Uefa. In proposito è illuminante ciò che scriveva Ottorino Barassi, vicepresidente della Fifa e della Federcalcio, nell'ottobre 1960 sul "Calcio e Ciclismo Illustrato":
«La Coppa dei Campioni ha avuto una coda con le partite tra il Real Madrid e il Peñarol di Montevideo. Si è abusato in questa occasione, a puro titolo speculativo, del titolo di "Campione del Mondo di Società". Il fatto, come esempio di malcostume, ha richiamato l'attenzione della Fifa, che ha aperto una questione con l'Uefa, che è andata al di là dei suoi poteri. Adesso all'Uefa sono pervenute proposte anche da parte dei continenti africani e asiatici per l'estensione della competizione. Poiché il fatto sportivo è parecchio lontano dalle intenzioni degli organizzatori, le richieste dell'Asia e dell'Africa sono state accolte freddamente. Comunque la questione avrà uno sviluppo ulteriore perché la eventuale competizione fra le vincenti dei tornei continentali non potrebbe essere organizzata che dalla Fifa, la quale però è preoccupata di questo gonfiarsi della competizione che potrebbe in definitiva danneggiare i campionati nazionali che stanno alla base del gioco del calcio di ogni paese. Competizioni come la Coppa di Europa delle società (ed in parte anche quella europea delle squadre rappresentative che potrà forse un giorno diventare il vero e proprio campionato d'Europa) hanno avuto grande successo ma bisognerebbe far punto fermo, e non inventare altre competizioni (o appesantire quelle esistenti) perché si finirebbe per nuocere alle Associazioni nazionali».
I colloqui che ne seguirono non produssero variazioni: la competizione restava, ma a carattere ufficioso.
Il primo periodo del torneo, la cui idea di fondo restava suggestiva, fu per certi versi esaltante; le squadre sudamericane si presero una immediata rivincita, affermando uno strapotere che solo l'Inter di Helenio Herrera riuscì a interrompere. Fu tuttavia in occasione della sconfitta del Milan col Santos nella terza edizione e del bis della squadra di Angelo Moratti che i primi seri problemi apparvero all'orizzonte. Il Milan venne letteralmente scippato da un arbitro tollerante verso le scorrettezze avversarie e dall'incongruenza del regolamento. L'Inter giocò il match di ritorno contro l'Independiente a Buenos Aires in un clima infuocato e decisamente intimidatorio. Peggio sarebbe andata al Celtic Glasgow contro il Racing Avellaneda nel 1967 e allo stesso Milan, che nel 1969, contro un'altra squadra argentina, l'Estudiantes, visse una serata da incubo, con l'arresto del centravanti rossonero Combin, uscito dalla sfida col volto tumefatto, e una vittoria finale pagata a caro prezzo sul piano sanitario. L'episodio destò sconcerto in Europa e da lì presero il via le rinunce dei club campioni d'Europa, surrogati da squadre spesso di seconda schiera che minarono fortemente il prestigio del trofeo. Nel 1973 la stessa Juventus fu chiamata al proscenio in luogo dell'Ajax, detentore della Coppa dei Campioni, e soccombette all'Independiente anche per gli scarsi stimoli di una sfida chiaramente dimezzata.A salvare la competizione, fortemente a rischio di estinzione dopo i due stop del 1975 e 1978, intervennero i giapponesi, che si assunsero nel 1980 l'onere della organizzazione grazie alla sponsorizzazione della Toyota, che diede il proprio nome alla competizione, trasformandola in un fruttifero business. Paradossalmente, la rivoluzione nacque in un incontro internazionale della Fifa, la grande oppositrice della competizione. Il Nottingham Forest era campione d'Europa, il Nacional di Montevideo re del Sudamerica. Furono i dirigenti del club uruguaiano, mossisi per allestire il match intercontinentale, a sapere del desiderio della Federcalcio giapponese di farsi promotrice dell'evento, grazie al supporto di una impresa privata, la West Nally.
Il 28 novembre 1980, nella stanza 212 dell'Hotel Excelsior di Roma, nell'ambito appunto di un meeting della Fifa, Dante Iocco e José Sassón, dirigenti del Nacional, si incontrarono con Geoffrey McPherson, rappresentante del Nottingham Forest, alla presenza di Hans Bangester dell'Uefa, l'organismo da sempre favorevole al torneo, e di Teofilo Salina, presidente del Conmebol, la confederazione sudamericana. Patrick Nally e Michel Storey della West Nally illustrarono il progetto di un rilancio della Coppa Intercontinentale attraverso un unico incontro annuale in campo neutro, a Tokyo, sotto l'egida della Toyota, che avrebbe associato il proprio nome al trofeo.
Così, assente una volta di più la Fifa, furono il Conmebol e l'Uefa ad assicurare ufficialità all'accordo, approvando le modifiche al regolamento e alla denominazione della competizione. Il tempo stringeva, non fu possibile organizzare la partita per fine novembre o nella prima decade di dicembre, secondo il calendario giudicato più idoneo.
Eccezionalmente, si stabilì che quella prima edizione della "Toyota Cup" si disputasse l'11 febbraio del 1981. La riforma si sarebbe rivelata felice, grazie alla perfezione dell'organizzazione e all'entusiasmo irrefrenabile dei giapponesi nel Tokyo National Stadium.
Nessuno da quel momento ha più ragione di dare forfait. Le spese di viaggio e quattro giorni di soggiorno delle delegazioni delle squadre sono rimborsate dall'organizzazione, che paga anche alle due contendenti un robusto ingaggio di alcune centinaia di milioni, incassando poi il ricavato del botteghino (la regola è il tutto esaurito, 62 mila spettatori) e la cessione dei diritti televisivi a tutto il mondo.
La nuova formula ha il merito di ridare assoluta regolarità al torneo, anche se di Il Nacional di Montevideo schierato al Tokyo National Stadium. Grazie ad una rete di Victorino gli uruguaiani sono stati i vincitori della prima Toyota Cupcontro toglie ai tifosi il contatto diretto con la manifestazione, che non viene più disputata nei famosi stadi europei e sudamericani, bensì nel calcisticamente anonimo impianto della città di Tokio.
Le squadre del Vecchio Continente impiegano un pò di anni per tornare ad imporsi, cogliendo il primo successo con la Juventus nel 1985: i bianconeri sono stati i primi a vincere ai calci di rigore.
In seguito la coppa è stata vinta ancora per due volte consecutive dal Milan: a sottolineare la caratura della squadra rossonera è bene ricordare che ha vinto tale manifestazione in tutti i modi in cui si è svolta: andata/ritorno, finale unica e mondiale per club. Nel 1996 c'è il bis della Juventus. A cavallo del nuovo millennio, tra il 1995 e il 2002, i trofei intercontinentali finiscono in Europa in ben sette occasioni su otto edizioni.
Nel 2004 con la vittoria del Porto, si giunse alla conclusione che per
rinnovare il prestigio della Coppa occorresse una ricostruzione dalle
fondamenta di un nuovo torneo.
Che nacque nel 2005 quando FIFA e Toyota trovarono l'accordo per un torneo organizzato dalla federazione e sempre sponsorizzato dalla casa automobilistica nipponica. La quadratura del cerchio fu trovata ideando una manifestazione che riprendesse esplicitamente e si ponesse chiaramente nel solco della vecchia Coppa Intercontinentale, ma che al contempo ne costituisse un'implementazione.
La Coppa del Campionato del Mondo per club (ing. FIFA Club World Championship Toyota Cup) si sarebbe svolta nello stesso luogo, nello stesso periodo e con lo stesso sponsor dell'Intercontinentale, ma ora sarebbe stata aperta anche alle rappresentanti degli altri quattro continenti. A tal fine i campioni d'Europa e del Sud America non si sarebbero più incontrati direttamente in finale, ma avrebbero dovuto affrontare preliminarmente in semifinale le due vincenti delle eliminatorie. La formula dell'eliminazione diretta garantiva inoltre snellezza, rapidità ed interesse al torneo.
La prima edizione, che vide l'affermazione del San Paolo, comportò dunque il pensionamento della vecchia coppa del 1960, sostituita da un nuovo trofeo che richiama, tuttavia, abbastanza chiaramente quello classico, seppur in una forma più moderna (il pallone che viene sostenuto raffigura le varie aree geografiche del globo).
Dal 2006 il nome originario della competizione è stato semplificato in Coppa del Mondo per club.
_________________ GULLIT:"Quando vedo Messi penso che è un grande calciatore ma è protetto: dagli arbitri, dalle telecamere, dal regolamento. Messi può limitarsi a dribblare. Diego doveva saltare alto così, non per fare dribbling ma perché volevano spezzargli le gambe".
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