Francesco82 ha scritto:
Personalmente vivo sommerso dall'indie italiano: ci sono molti lavori interessanti (neppure li ricordo), tantissimi però sono molto medi.
Non vedo nessun anticonformismo in quel tipo di indie, solo una diversa forma di moda, nella stragrande maggioranza dei casi. Gentaglia come "Lo stato sociale" per me è il peggio del peggio, perché è pure pretenziosa.
Credo che la musica italiana abbia dato il meglio in settori specifici e in specifici momenti d'oro:
- canzone d'autore. In quell'ambito siamo sempre stati maestri in Europa, secondi forse solo ai francesi. Nella scuola autorale italiana hanno convissuto tradizione letteraria (e particolare attenzione alla forma: i testi di un Guccini sono molto forbiti, complessi e formalmente ricercati), particolare stagione socio-politica, personalizzazione dei mezzi espressivi arrivati da USA e Inghilterra.
- rock progressivo, con la florida stagione vissuta fra anni '60 e '70.
- rock alternativo italiano anni '90: i figliocci della stagione indie americana, di cui riciclavano sonorità, stilemi, approccio (Afterhours, Marlene Kuntz, Verdena). Alcuni sono cresciuti, altri meno. C'è una pletora di band non troppo diverse.
Questo escludendo il jazz, settore in cui l'Italia ha conseguito grandi risultati sin dagli anni '60, partendo con Liguori, Gaslini, lo straordinario Massimo Urbani (per molti il jazzista più istintivo e talentuoso mai nato nello stivale), Flores e arrivando ai vari Fresu & C.
Oggi è difficile inquadrare la situazione, c'è veramente troppa carne al fuoco, anche se - per il poco che conosco - raramente scopro dischi che meritino più di un 6 generoso. L'indie attuale cerca di recuperare il trentennio di gap che lo separa dalla stagione in cui il rock alternativo era veramente la next big thing, il linguaggio nuovo e dirompente (parlo di tutti gli anni '80 e della stagione di Seattle), ma raramente aggiunge cose significative.
Il peggio comunque è l'hip hop italiano: il divario abissale che lo separa dall'hip hop originario come struttura, concezione, idea e conoscenza della musica, abilità compositive, contenuti etc... è veramente osceno. Io sono ancora qui a celebrare Frankie Hi-Nrg e i Colle der Fomento, magari gli Uochi Toki. Ma fatico a salvare altro, spero sia solo un limite di conoscenza mio perché Fedez & C. non possono essere l'hip hop italiano, quando in America hanno Dalek, cLOUDDEAD, Shabazz Palaces, Kendrick Lamar e chissà quanti altri (il jazz hop è un fenomeno musicale e culturale vero e complesso, impensabile per la nostra cultura).
Nella musica italiana mi ha sempre colpito il generale immobilismo, che rovescia drasticamente le categorie in vigore in America, dove il discorso si evolve continuamente e in modi sempre più complessi, andando a braccetto con altri tipi di rivoluzione (letteraria, culturale in genere, cinematografica). Da noi si cerca quasi solo conferme e si ricicla quasi sempre le stesse idee.
La butto lì: ho sentito parlare di un rap italo-arabo interessante e coraggioso, che detta così fa un po' ridere, e che secondo me invece darà forse uno scossone al nostro stagnante universo musicale.
Parlavo esattamente della tipologia a la "Stato sociale" e "Thegiornalisti".
E concordo sulla scena Hip hop/rap: terribile, ma non essendo un grande appassionato magari conosco solo quelli in superficie.