Con il mio ritorno sul forum dopo il discutibile (ma vabbé, acqua passata
) e pesante ban di due mesi, ci tenevo ad aprire un topic su una delle band che più amo, quasi mai menzionata su questi lidi, vale a dire i Replacements. Un nome che a molti di voi dirà poco: in effetti i Mats (così sono soprannominati dai loro fans) non hanno mai goduto di una grande popolarità internazionale, nonostante siano stati la prima band indie a firmare per una major e il gruppo americano campione di vendite a livello underground negli
eighties. Vengono spesso menzionati come uno dei migliori gruppi degli anni '80, due tra i loro lavori sono pressoché onnipresenti nelle (discutibili, ok) classifiche sui migliori album della storia del rock, è vero, eppure a mio avviso non sono mai stati elogiati/omaggiati come avrebbero meritato.
I Replacements provengono da Minneapolis, città musicalmente nota soprattutto per Prince, ma che ha dato i natali anche ai loro amici Hüsker Dü, un gruppo altrettanto fondamentale per l'alternative rock statunitense. Paul Westerberg (voce e chitarra), i fratelli Bob (chitarra) e Tommy (basso) Stinson e il batterista Chris Mars sono ancora dei ragazzi quando pubblicano il loro primo album
Sorry Ma, Forgot to Take Out the Trash (titolo geniale
), che si inserisce nel filone hardcore preponderante a quel tempo nelle etichette indipendenti USA. Ma, tra le righe, già si intravedono le potenzialità del gruppo, che vanno ben oltre la furia e la velocità dell'hardcore punk: ne è un esempio il blues di
Johnny's Gonna Die (dedicato a Johnny Thunders).
Dopo l'uscita di un EP, il violentissimo
Stink (senz'altro il loro lavoro più hardcore in senso stretto), i Mats cominciano a mostrare di che pasta sono fatti con il successivo
Hootenanny. E' un disco ancora acerbo, immaturo, grezzo, che alterna brani hardcore a deliranti blues ubriachi, ma che contiene almeno tre perle assolute, tre autentici capolavori, un saggio delle indiscutibili qualità di scrittura di Westerberg, un gustoso antipasto di quello che verrà da lì a poco. Mi riferisco alla meravigliosa
Color Me Impressed (ah, quanto devono i Nirvana ai Mats...), alla disumana
Willpower (che anticipa gli Alice in Chains più disperati) e soprattutto all'incantevole
Within Your Reach (in cui il ritmo è scandito da... una batteria elettronica!
In una band che apparteneva alla scena indipendente! Eresia! Sacrilegio!). Quest'ultima - per la serie "echissenefrega"
- è in assoluto una delle mie canzoni preferite
I tempi ormai sono maturi e i Replacements il definitivo salto di qualità lo compiono nel 1984 con
Let It Be, uno dei migliori album del decennio, nonché a parer mio il loro capolavoro indiscusso. Undici tracce una più bella e toccante dell'altra. E tutte diversissime tra loro, a un primo ascolto possono sembrare che suonino tre band diverse nello stesso album
, passano con nonchalance da brani tremendamente "nirvaniani" come
Tommy Gets His Tonsils Out (in certi pezzi le voci di Cobain e Westerberg sono quasi identiche) alla malinconica
Androgynous (bellissima melodia per solo voce e piano
), fino ad arrivare alla cover dei Kiss di
Black Diamond. Il disco si apre con
I Will Dare, forse il loro brano più famoso, che all'epoca ottenne un buon successo (anche l'album, il primo dei Mats con una major, vendette abbastanza bene), prosegue con i pezzi più aggressivi del disco,
Favorite Thing e
We're Comin' Out (ultimo rigurgito hardcore), ma raggiunge l'apice nelle intense ed epiche ballate che impongono definitivamente Westerberg come uno dei più dotati songwriter della sua generazione
Oltre alla già citata
Androgynous, vi sono anche
Unsatisfied e
Sixteen Blue (con assolo finale di Bob Stinson - protagonista assoluto anche nella semi-strumentale
Seen Your Video - che da solo vale intere carriere di guitar hero da strapazzo
). Il disco si conclude con l'adrenalinica, ma in fondo malinconica,
The Answering Machine. In definitiva:
Let It Be è un perfetto equilibrio fra energia e melodia, fra ribellione punk e maturità. Uno di quei dischi irripetibili.
Tim prosegue sulla stessa lunghezza d'onda, è un disco nel complesso più maturo, meno umorale, di una band ormai definitivamente cresciuta, che ha messo da parte gli eccessi e le esasperazioni giovanili. Il punk degli esordi è stato ormai sostituito da un power pop irresistibile nella sua semplicità, con Westerberg sempre più mattatore assoluto. La sua voce sofferta, insistente, disperata ma anche epica è - a parer mio - tra le più belle e incisive del rock; canta ogni strofa come se fosse l'ultima della sua vita, con una passione ineguagliabile. Insomma, l'esatto opposto delle voci tecnicamente ineccepibili, ma preconfezionate, vuote, senza un'anima, che tanto vanno di moda
da noi
, imposte da X Factor, The Voice e altri cancri inestirpabili della musica italiana (e non solo)
Tornando a
Tim, l'asperità degli esordi viene totalmente meno, il sound è ormai più vicino alla tradizione pop e folk, aumentano le ballate a disposizione dell'innegabile talento melodico di Westerberg. Un album adorato dalla critica (che spesso lo indica come il migliore dei Mats), che a me però piace un filino meno rispetto a
Let It Be. Certo è che la bellezza di diverse canzoni lascia davvero a bocca aperta: penso al brano d'apertura
Hold My Life, all'adolescenziale
Kiss Me On The Bus, alla romantica
Swingin' Party, all'energica
Bastards Of Young e soprattutto alla commovente ballata acustica
Here Comes A Regular , in cui si possono apprezzare al meglio le capacità interpretative di Westerberg. Da segnalare anche la brillante
Left Of the Dial, in cui fa un cameo Sua Maestà Alex Chilton, se vogliamo il padre putativo di Westerberg.
L'ultimo grande album della band, il quarto consecutivo, è
Pleased To Meet Me. Come c'è scritto nella scheda di OndaRock, "la furia incendiaria di inizio decennio viene ora convogliata in una serie di power-pop raffinati, curatissimi e arrangiati in modo estremamente vario". Westerberg è diventato un songwriter adulto, di brani godibili ce ne sono a iosa, una perfetta pop-song come
Alex Chilton (altro omaggio all'ex leader dei Big Star) in un mondo ideale sarebbe stata una hit mondiale
, ma il lavoro globalmente non eguaglia i picchi dei dischi precedenti.
Le ultime fatiche della band sono
Don't Tell A Soul e
All Shook Down, un antipasto della futura carriera solista di Paul Westerberg (anche perché nel frattempo se n'era andato Bob Stinson, l'unico altro elemento in grado di imporsi in fase di composizione), lavori decisamente meno ispirati: non da buttare, intendiamoci, tutt'altro, ma senza quella magia che hanno reso così memorabili i quattro album che vi ho descritto - soprattutto
Let It Be e
Tim.
Alla fine del decennio la band si scioglie. Lo fa proprio poco prima dell'esplosione del grunge, che fece diventare tutto il rock alternativo un fenomeno di massa, rendendolo mainstream. Dal punto di vista commerciale quindi una mossa che non avrebbe potuto essere più sbagliata (ma che - inconsapevolmente - faranno in molti: vedi Hüsker Dü e, più avanti, Pixies). Ma, si sa, anche la storia del rock è fatta di vincenti e di perdenti. E i secondi non è detto che siano meno validi dei primi. Anzi, spesso è vero il contrario.