Su chi dei tre avreste puntato per costruire la squadra negli anni ’90?
Möller era il più offensivo dei tre. Al punto che il suo arrivo alla Juventus fu ritardato perché si temeva un dualismo con Baggio. Il meglio lo dava tra le due linee, ma non era un trequartista classico. Pur avendo ottima tecnica, prediligeva potenza e progressione alla fantasia. Preferiva sfruttare il suo destro potente e preciso, piuttosto che rifinire. Dopo ottime stagioni in Germania tra Eintracht e Borussia Dortmund, dove si fece conoscere ed entrò nella lista dei convocati per la vittoriosa campagna di Italia ’90, arrivò finalmente alla Juventus, dove fu protagonista di due stagioni in una bella Juventus. Il meglio lo diede a mio avviso dopo il ritorno al Borussia Dortmund, dopo che l’esperienza italiana lo aveva reso più forte sotto ogni punto di vista. Fu protagonista del vittorioso EURO ’96 in Inghilterra, e della sorprendente vittoria in Champions League dei gialloneri, dimostrando anche grande personalità.
Sammer era il più duttile. Nato difensore, si trasformò in centrocampista offensivo, dimostrando doti tattiche e realizzative. Tecnicamente discreto, potente e capace in entrambe le fasi. Ci tengo a precisare una cosa: ho letto più volte la parola “bidone” avvicinata al suo nome. Ho letto di tutto sul Pallone d’Oro secondo i più, immeritato. Ho letto che in Italia fallì malamente (questo anche sul forum). Niente di più falso. Sammer vinse il pallone d’oro in virtù dell’importanza avuta a EURO ’96. Se altri difensori più forti di lui non lo hanno vinto, è solo perché avevano più concorrenza in determinati periodi storci. E soprattutto, in Italia non fallì per niente. Un centrocampista che in quella Serie A fa 4 gol (tre molto belli e a vittime eccellenti come Roma, Napoli e Juventus) in 11 partite, è senz'altro un ottimo giocatore. Capitan Bergomi stesso dichiarò “Sammer si è fermato poco con noi, ma ha fatto cose importanti”. Semplicemente lui non si adattò all’Italia. Non imparò l’italiano quando era già stato acquistato dall’Inter, convinto di trovare altri tre tedeschi. L’ambiente quindi si fece duro alla cessione di Matthäus, Brehme e Klinsmann. A complicare il tutto, arrivarono i rapporti con Bagnoli, il quale trovandosi due centrocampisti simili, come Sammer appunto, e Shalimov, scelse il russo fra le linee, e il tedesco davanti alla difesa, ruolo mai accettato da Sammer che ad ogni occasione, si catapultava in avanti. Contravvenendo alle scelte del mister, e non familiarizzando col resto della squadra, finì in tribuna, e immediatamente chiese la cessione. Il paradosso è che tornato in Germania, non tornò a giocare centrocampista offensivo, ruolo che desiderava all’Inter, ma come tanti altri numeri 10 tedeschi (Matthäus, Thon, Pilz), si reinventò libero, con i risultati che tutti conosciamo.
Il piede migliore lo aveva Effenberg. Giocatore dal classico fisico teutonico, molto alto, a prima vista poteva sembrare un centravanti boa. Invece era un vero leader del centrocampo. Non aveva la rapidità nei primi metri di Möller, ma la sua regia era sempre lucida e precisa, i suoi lanci lunghi, erano illuminanti. Molto forte anche nei contrasti grazie al fisico poderoso. Ancora più spiccata delle doti tecniche, era la sua personalità. Quando poteva agire da unico leader della squadra, se la prendeva sulle spalle, e tutto il gioco girava intorno a lui; quando invece entrava in contrasto con altre personalità forti (vedi Matthäus), nascevano problemi, e talvolta i suoi comportamenti, ne hanno minato la carriera, come nel caso della nazionale, dove avrebbe potuto essere titolare fisso per almeno atri cinque-sei anni. La sua parentesi in Italia, fu sfortunata più che altro per vicende di squadra: finché Radice allenò la Fiorentina, si dimostrò un ottimo regista, coi tempi giusti e le giocate giuste. Quando le improbabili scelte di Checchi Gori sconvolsero la squadra, naufragò insieme ai compagni, Batistuta compreso. Tornò in Germania, e restò negli anni migliori della sua carriera in una piccola squadra, il Borussia Mönchengladbach, sempre a causa del suo carattere difficile. Lo ricomprò il Bayern Monaco, che proprio non poteva restare indifferente alle sue prestazioni. Qui, nonostante i contrasti con Matthäus, fece ancora vedere di che pasta era fatto, raggiungendo due volte la finale di Champions League, vincendone una, dove fu eletto miglior giocatore.
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